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Roque Fucci

Vincitore del Premio Gotham 2014

Exhibition Opening

Incipit scriptum indefinibile sed omnino probatum a committente. Mal si attaglia ad un “artista sociale” antiaccademico e antistituzionale come Roque Fucci una presentazione ufficiale e tradizionale. Il “personaggio”, ut supra diximus, preferisce presentarsi da solo: vita ed opere paucis verbis.
Maria Enrica Gemme

Sono nato a Buenos Aires nel quartiere “al di là del fiume” di Villa Crespo il 3 gennaio 1972, in tempi grigi di pre -dittatura. I nonni paterni erano contadini lucani, anche se il cognome dantesco è tipicamente toscano.
Dell’infanzia conservo due ricordi di segno opposto: il terrore della parapolizia armata nella mia casa e le canzoni di Sanremo cantate e mimate da mia nonna. Si mescolavano nella mia famiglia dura realtà e fantasia: quello che
più tardi è stato definito “realismo magico”.
I miei primi manufatti sono stati cestini di fiori, sirene e teste di Medusa, che allarmavano mia madre; così mi sono iscritto al Liceo Artistico Manuel Belgrano nell’euforia del post-dittatura. Qui la mia vita artistica e quella socio-politica si sono intrecciate per sempre: manifesti, figure di cartapesta, con un certo successo segnato da piccoli premi in mostre locali.
Poi, stanco della vita bonaerense convulsa e iperstimolante, pur senza aver letto Thoreau, come Walden sono andato a vivere nei boschi, in Brasile, costruendomi una casa e cercando di vivere di piante selvatiche.
Ma le erbe erano troppo amare e per conoscere l’altra parte di quell Paese ho accettato un invito nella ricca villa di un tizio dal nome sonante, Edimir Ribeiro Cavalcante de Souza, figlio del re del caffè, dove mi sono adattato a progettare discutibili sculture da giardino.
Tornato a Buenos Aires, ecco di nuovo lo spleen di Ismael nel Moby Dick e mi sono messo in capo di vedere l’Italia, anche se con breve soggiorno.
Trovata una buona occasione, sono approdato a Torino, luogo grigio e freddo non molto confacente alla mia natura.
Poi lì ho conosciuto una persona molto importante per me e ho trovato un lavoro imprevedibile: per la cooperativa educativa Valdocco dovevo condurre un laboratorio di ceramica per ragazzi disabili e uno per giovani del carcere minorile; nel corso del tempo ho imparato ad apprezzare questo lavoro non facile, ma che mi permetteva di penetrare con l’arte nel loro animo. In cinque anni circa sono riuscito a far produrre ai miei cosiddetti “matti” ed “assassini” delle vere opere d’arte.
Così è nata questa collezione d’arte povera e sociale, che trova ora una visibilità e un riconoscimento che né gli autori-discepoli né il maestro si sarebbero mai immaginati.