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Italiani al concorso Chopin!

Sulla vetta del mondo. I vincitori del concorso Chopin.

Otto pianisti, tra quelli che hanno partecipato al concorso Chopin provenendo da tutti i paesi del mondo. Otto pianisti tra i cento e più hanno colpito la giuria. Che ha deciso di riservare a otto pianisti i premi del Concorso Chopin: primo premio: Bruce (Xiaoyu) Liu (Canada); secondo premio ex aequo: Alexander Gadjiev (Italy / Slovenia) e Kyohei Sorita (Japan); terzo premio: Martin Garcia Garcia (Spain); quarto premio ex aequo: Aimi Kobayashi ( Japan) e Jakub Kuszlik (Poland); quinto premio: Leonora Armellini (Italy); sesto premio: JJ Jun Li Bui (Canada)

Teniamo a mente i loro nomi perché non è facile essere sulla vetta del mondo. Una zolla, dove ci stanno otto persone, non di più, tra tante e tante che hanno dedicato la loro vita, la loro giovinezza alla musica. E teniamo a mente soprattutto i due italiani – ben due – che sono tra questi otto: Alexander Gadjiev, secondo premio, e Leonora Armellini, 5 premio. Immagino le discussioni nella giuria, le divisioni, gli accordi finali, come in ogni competizione basata su valori immateriali quali sono quelli musicali. Ma l’importante è il risultato. Due italiani tra gli otto sulla cima del mondo. Ascoltiamoli. Da parte dell’Istituto di Cultura un solo impegno: li porteremo a New York il prima possibile. Intanto un applauso un abbraccio e un messaggio: bravi ragazzi, bravi maestri, rappresentate la parte migliore dell’Italia

Fabio Finotti

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La scuola pianistica italiana è stata tra le più famose del mondo sin dall’Ottocento. Anche trascurando il fatto che Muzio Clementi era italiano, basterebbe pensare a nomi che ogni studente di Conservatorio ben conosce, dato che la loro tecnica (e i loro libri) continuano ad essere punti di riferimento fondamentali per la didattica pianistica italiana: da Sigismondo Cesi a Florestano Rossomandi a Ettore Pozzoli. E che dire dei grandi pianisti che – pur senza scrivere trattati o esercizi o studi – formarono generazioni di allievi? Dal grande Cesare Pollini (da non confondere con Maurizio) a Ferruccio Busoni, a Maurizio Vitale, a Benedetti Michelangeli.

Quest’eccellenza è confermata dall’attuale concorso pianistico Chopin di Varsavia – uno dei più importanti al mondo (si tiene una volta ogni cinque anni) – proprio in questi giorni alle sue ultime battute. Tra i finalisti (12) provenienti da tutte le parti del mondo, ben due sono italiani.

La prima (in ordine alfabetico) è Leonora Armellini, un’amica dell’Istituto di Cultura di New York, per il quale ha già in programma delle registrazioni lisztiane dedicate a Dante.

Parlando, di scuola, è giusto sapere con chi Leonora ha studiato sin da piccolissima (quando partecipava a Bravo Bravissimo con Mike Buongiorno, o al Festival di Sanremo nel 2013). Ha studiato con una didatta di straordinaria levatura, Laura Palmieri, al Conservatorio Dell’Abaco di Verona. Con Laura Palmieri si è formata anche un’altra italiana giunta alle soglie della finale, Michelle Candottio, così come si è formato nel passato Alberto Nosé, vincitore nel 2000 del 5o premio del concorso, dopo aver vinto il secondo premio al Busoni nel 1999.

Davvero i concorsi e i premi non servono? Avrà un senso per esempio che assieme a Leonora Armellini sia giunto alla finale dello Chopin il pianista italo-sloveno-russo (di Gorizia) Alexander Gadjiev, in passato vincitore – come la Armellini – del prestigioso Premio Venezia. Anche lui con un suono bellissimo, in cui forse emerge la straordinaria scuola russa incarnata dal padre pianista, con cui Alexander si è formato.

Ed ora i due giovani italiani sono in finale. Scriviamo queste parole prima di sapere il risultato del Concorso, perché già questa è una vittoria che vogliamo applaudire, e su cui ci teniamo a spendere due parole..

Quello che i due pianisti italiani rappresentano è un mondo di giovani pianisti che forse noi riusciamo a immaginare un po’ meglio solo ora, dopo i cambiamenti prodotti dal Covid. Un mondo fatto di impegni, di concentrazione, di ore, giorni, anni dedicati a perfezionare le esecuzioni e a scendere in profondità nelle partiture. Un mondo in cui l’energia della vita, così potente negli anni dell’infanzia e della giovinezza, non viene sprecata ma incanalata nel far fiorire ciò che altrimenti resterebbe silenzioso. Se Mozart, Beethoven, Chopin, Martucci, Respighi non trovassero ancora oggi le dita prodigiose che li resuscitano in modo sempre nuovo, sarebbero muti, ciechi, dissolti nelle polveri del passato. E’ bello che in Italia ci sia ancora chi sa compiere queste magie.

Fabio Finotti